Enogastronomia

La ricetta Il gattò di mandorle

La storia del gattò
Il gattò, ricetta tipica sarda, non è un semplice croccante di mandorle. O meglio, può esserlo nella sua versione 'casalinga' (di cui fra qualche riga vi forniremo la ricetta), ma in certe occasioni può assumere dimensioni monumentali, riproducendo case, chiese e persino cattedrali. Questo si verifica quando viene preparato come regalo propiziatorio di felicità per due sposi, e distribuito dagli stessi in pezzi ai propri invitati, anche in occasione del Matrimonio selargino a Selargius. Oltre alle sue caratteristiche estetiche è interessante cercare le sue origini: sebbene il nome gattò (gatò o catò, a seconda delle zone) probabilmente derivi dal francese gateau, la sua ricetta sembrerebbe innegabilmente sarda e diffusa almeno dal 1600. Di queste bontà parla anche il Premio Nobel per la letteratura Grazia Deledda che nel romanzo 'La via del male' (1896) le definisce come "piccole costruzioni moresche di mandorle e miele".

La ricetta
Gli ingredienti del gattò sono pochi ma buonissimi: un chilo di mandorle, un chilo di zucchero e due limoni. Si tagliano le mandorle a filetti e si tostano, poi si amalgamano con lo zucchero sciolto precedentemente, e diventato caramello, in un paiolo di rame o in una pentola antiaderente per circa 20 minuti. Il composto si versa su un piano di lavoro in marmo o legno cosparso di succo di limone, si stende con il mattarello e si taglia in forma di rombi, poi si serve su foglie di limone o su pirottini di carta. Perfetto in compagnia di un bicchierino di Moscato.

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